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Sergio Lorusso

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Postilla » Diritto » Il Blog di Sergio Lorusso » Diritto penale e processuale » Ilva. Restituire la facoltà d’uso con precise prescrizioni

1 agosto 2012

Ilva. Restituire la facoltà d’uso con precise prescrizioni

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Ancora una volta è la via giudiziaria a segnare una vicenda a tutti nota e che si trascina da anni tra silenzi, omissioni e rimpalli di responsabilità. Il caso Ilva non nasce oggi, ma è grazie ai provvedimenti della magistratura che ha conquistato le prime pagine dei quotidiani e la priorità nei notiziari televisivi.

Più degli arresti domiciliari disposti nei confronti di presidenti e amministratori, a fare notizia questa volta è il temuto blocco delle attività del più grande centro siderurgico d’Europa conseguente al sequestro degli impianti, senza facoltà d’uso, ordinato dal giudice per le indagini preliminari: a rischio, infatti, sono undicimila posti di lavoro che, sommati ai quattromila lavoratori dell’indotto, rappresentano una fetta cospicua dell’economia della città jonica e del reddito dei tarantini. Inutile negare che, in questa vicenda, i soli arresti avrebbero avuto un ben altro impatto mediatico.

Una decisione sofferta ma necessaria, hanno affermato i magistrati del capoluogo jonico, chiaramente consapevoli delle implicazioni del loro operato. La giustizia, d’altronde, deve fare il suo corso, si occupa dei reati commessi, guarda al passato più che al futuro. Questo almeno in un Paese ‘normale’, dove il sistema di pesi e contrappesi tra le varie funzioni dello Stato e gli organi che le esercitano funzioni correttamente. In Italia, invece, spesso al potere giudiziario è stata delegata una funzione di supplenza rispetto a inerzie e debolezze della classe politica.

È accaduto a partire dalla seconda metà degli anni sessanta del secolo scorso, quando una generazione di giovani magistrati, i cd. ‘pretori d’assalto’, hanno svolto un’azione propulsiva proprio sul terreno della tutela dell’ambiente e del diritto alla salute, fuori e dentro le fabbriche. Un movimento che mirava a rendere concreti e operativi i diritti e le garanzie costituzionali ancora privi di adeguata copertura legislativa. Memorabili gli interventi del Pretore di Nardò, soprannominato dalla stampa il “Pretore di ferro”, in difesa della terra salentina contro il degrado ambientale e l’abusivismo edilizio.

Soppresse le Preture alla fine del millennio, oggi sono le Procure della Repubblica a rappresentare il più avanzato presidio della legalità. Non è un caso, forse, che l’accordo di programma tra Ministeri dell’Ambiente, dello Sviluppo economico e della Coesione territoriale, Regione Puglia, Provincia e Comune di Taranto per le bonifiche e il rilancio del sito produttivo jonico sia stato siglato a Roma proprio mentre veniva depositata l’ordinanza cautelare choc sul caso Ilva, e che solo pochi giorni prima, il 17 luglio, la Regione abbia approvato (all’unanimità) una nuova e più avanzata legge sulla tutela ambientale, che introduce la valutazione del danno sanitario provocato dalle emissioni degli impianti industriali.

E tuttavia, come ben ha evidenziato il direttore De Tomaso su queste pagine nell’editoriale di domenica, se meritoria appare l’opera della magistratura quando la politica tace, la supplenza di chi esercita la funzione giudiziaria non può essere l’antidoto. Non può essere una valvola di sicurezza a tempo indeterminato, anche perché all’attenzione della magistratura giungono giocoforza lost facts: le morti di cui oggi si discute, addebitate allo scempio ambientale prodotto in terra jonica dall’industria dell’acciaio – non dimentichiamolo, nelle mani dello Stato fino al 1995 – nel corso degli anni, riguardano il periodo dal 2004 al 2010 preso in considerazione nella perizia epidemiologica e, dunque, sono il frutto dell’inquinamento prodotto dagli impianti così com’erano qualche lustro fa. Le emissioni di diossina dell’Ilva, nel frattempo, sono diminuite dagli 800 grammi del 1994 ai 3,5 grammi del 2011.

C’è, allora, ancora un tempo per la politica.

Tra le righe del provvedimento che dispone l’esecuzione del sequestro, del resto, vi è la percezione di come tutto non possa essere delegato all’azione della magistratura: l’apposizione dei sigilli agli impianti è solo ‘virtuale’, con l’indicazione delle operazioni vietate e di quelle consentite; l’esecuzione del sequestro, comunque, deve evitare la distruzione degli impianti e «consentire la loro eventuale riutilizzazione nel caso di attuazione di misure tecniche tali da eliminare i fatti negativi riscontrati ovvero per il caso di successive diverse decisioni giurisdizionali».

Perché incombe, com’è noto, la pronuncia del Tribunale della libertà sulla richiesta di riesame dell’ordinanza cautelare. Una decisione che potrebbe confermare il sequestro degli impianti restituendo però la facoltà d’uso, magari condizionandola all’attuazione di precise prescrizioni che ne riducano il potenziale inquinante entro limiti tollerabili. Salvando, così, migliaia di posti di lavoro ed evitando una prevedibile e preannunciata rivolta da parte di chi vede messa in discussione l’unica fonte di sostentamento per sé e per la propria famiglia.

Letture: 5697 | Commenti: 1 |
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Un commento a “Ilva. Restituire la facoltà d’uso con precise prescrizioni”

  1. NAPOLITANO ELIO scrive:
    Scritto il 12-8-2012 alle ore 19:46

    IN ITALIA STIAMO FACENDO IN MODO DI DISTRUGGERE L’INDUSTRIA, CON IL CONSEGUENTE AUMENTO DELLA DISOCCUPAZIONE. E’ VERO CHE E’ DIFFICILE CONCILIARE LE DUE OPPOSTE ESIGENZE, LA SALUTE E L’OCCUPAZIONE, MA NON DIMENTICHIAMO CHE IL PROGRESSO INDUSTRIALE HA PORTATO BENESSERE AGLI UOMINI.
    NO TAV – NON NUCKEARE E GASSIFICATORI, NE INCENERITORI, NE CENTRALI A CARBONE, INSOMMA NON SI PUò AVERE LA BOTTE PIENA E LA MOGLIE UBRIACA.

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