3 ottobre 2012
Se ‘fiorisce’ il depistaggio mediatico
La ‘banda degli onesti’ capitolina, che sembra avesse scambiato il Consiglio regionale per un inesauribile bancomat, deve rinunciare al suo leader travolto da una valanga di accuse e dalla condotta spregiudicata di questi giorni. Un’ordinanza di custodia cautelare del Gip del Tribunale di Roma ha infatti portato in carcere per peculato Franco Fiorito, fino a qualche ora prima ospite gradito e conteso da tg e salotti televisivi in cui ha fornito la sua ‘versione dei fatti’ addebitatigli.
Tra le righe della motivazione, incentrata sul concreto pericolo di fuga e di inquinamento probatorio, compare – per la prima volta nella storia giudiziaria del nostro Paese – il riferimento al «depistaggio mediatico», che sarebbe stato messo in atto scientificamente da ‘er Batman’ allo scopo di screditare i suoi antagonisti ed altre persone coinvolte nel Laziogate 2012 e di trarne un vantaggio personale.
Soppressione di prove nella sua disponibilità – è lungo e variegato l’elenco dei beni che sarebbero stati acquistati con i fondi distratti, desumibile dalle fatture finite negli ingranaggi (imperfetti) del suo distruggidocumenti: dalle cravatte alle sciarpe di seta e alla pelletteria, da una jeep a una caldaia per combattere i rigori dell’inverno romano – ma non solo. Viene contestata anche l’alterazione del quadro probatorio mediante la manipolazione di documenti utilizzati, si legge nell’ordinanza, per «formare dossier riguardanti i suoi più diretti avversari politici nell’ambito del Gruppo consiliare e consegnarli agli organi di informazione».
La giustizia mediatica si mostra quindi in un’inedita dimensione.
Non più (e non solo) come processo celebrato davanti agli sguardi indiscreti delle telecamere, dello spettacolo messo in scena dai più celebri talk show negli ovattati studi televisivi con la partecipazione straordinaria di esperti (veri o presunti) che analizzano i pochi elementi a disposizione per pronunciare un verdetto anticipato (e inappellabile) di colpevolezza.
I media, in questo caso, si fanno essi stessi strumenti processuali, ne diventano parte inconsapevole, piegati dall’indagato al soddisfacimento dei propri interessi, adoperati per sostenere una (quant’anche improbabile) linea difensiva.
Fiction e realtà si compenetrano, i fatti e la rappresentazione che i media ne offrono al pubblico si fondono e si confondono, in un groviglio che rischia di divenire inestricabile. A farne le spese, inutile dirlo, è la giustizia. Quella giustizia che la nostra Carta fondamentale vorrebbe amministrata in nome del popolo (art. 101 comma 1 Cost.), prevedendone anche casi di partecipazione diretta (art. 102 comma 2 Cost.), non certo dal popolo subita, né delegata ai media.
Accade invece, nell’Italia del terzo millennio, che l’ancora di salvezza più immediata per chi si trova invischiato in una poco edificante vicenda giudiziaria diviene proprio lo schermo televisivo, l’universo dei media. L’alibi si costruisce in tv, la presunzione d’innocenza si alimenta in rete o sui giornali (quei giornali che pure hanno il potere di ‘sbattere il mostro in prima pagina’), sapientemente orientati da interviste, dossier addomesticati e fantomatici scoop.
È successo qualcosa del genere, ma in maniera molto più naïve, per il delitto di Avetrana.
L’onnipresenza mediatica di Sabrina Misseri, che ha caratterizzato il periodo immediatamente successivo alla scomparsa di Sarah Scazzi, è poi risultata un tentativo di sviare gli investigatori creando una sorta di ‘alibi mediatico’. Un comportamento censurato dai giudici che, nel disporre la custodia cautelare in carcere nei confronti della figlia di ‘zio Miché’, hanno evidenziato i pericoli per un corretto svolgimento delle indagini derivanti dalle sue scorribande televisive («l’evidenza mediatica acquisita dall’indagata e le sue possibilità di contatti … con una moltitudine non calcolabile di persone fanno sì che, solo se ristretta in carcere, ella si trovi nell’impossibilità di mantenere tali relazioni, che ben potrebbero garantirle … di inquinare i risultati investigativi»).
Dove finisce la realtà, quali sono i suoi confini, e dove inizia il regno dei media?
È sempre più difficile comprenderlo, come ci suggerisce anche Reality, il bel film di Matteo Garrone vincitore del Grand Prix della Giuria a Cannes 2012 e da qualche giorno nelle sale cinematografiche. Uno spaccato dei nostri tempi, solo apparentemente surreale. Il ‘Grande Fratello’ è dappertutto, ci lusinga e ci osserva, fino a stravolgere le nostre vite facendo perdere il senso della realtà a chi non riesce a rimanere ancorato a solidi valori. E il Crime reality show non è da meno: insidioso e pervasivo, è in grado di insinuarsi nel nostro quotidiano e di condizionare uno dei pilastri della società civile, il rendere giustizia punendo chi non rispetta le regole. O, almeno, ci prova.
Scritto il 9-10-2012 alle ore 12:02
la capitolazione del regno dei media potrebbe anche passare attrverso l’applicazione dell’art. 378 c.p. per qualche conduttore televisivo.
Scritto il 25-10-2012 alle ore 13:31
Il caso der batman è stato derubricato a reato bagatellare dal coro mondiale (diretto, evidentemente da maestri tutti italiani) che si è sollevato dopo la condanna dei membri della Commissione Grandi Rischi.
E’difficilissimo trovare qualche commentatore o giornalista che si sia degnato di raccontare la verità: ossia che questi Soloni si sono volenterosamente fatti addomesticare dal potere e – abdicando al loro ruolo di professionisti e “scenziati” – hanno smentito loro stessi prestandosi a “tranquilizzare mediaticamente” i poveri aquilani. Se i terremoti non sono prevedibili, è criminale affermare (o consentire che si affermi in proprio nome) che in una situazione come quella del 31 marzo 2009 si potesse stare tranquilli nelle proprie case.
E oggi tocca sentire il “Ministro” Clini che dopo il capolavoro di depistaggio sui dati dell’inquinamento a Taranto equipara questa sentenza a quella contro Galileo. E meno male che è un tecnico!